Prefazione

Kyûdô significa letteralmente "via dell'arco"; in Oriente la parola "via" non significa solamente strada nel senso di traccia da percorrere per gli spostamenti, ma anche (ed in questo caso esclusivamente) percorso dell'essere umano verso il suo miglioramento anche tecnico ma soprattutto verso la sua crescita interiore come Uomo: lo stesso ideogramma si legge Tao in cinese.

Parlare del kyûdô, il tiro con l'arco giapponese, è sempre un po' difficile specialmente per chi giapponese non è; invero la più "esoterica" tra le arti marziali del Sol Levante non è particolarmente conosciuta né diffusa a livello di massa neanche lì dove ha avuto le sue origini. Soltanto negli ultimi anni il kyûdô sta vivendo un nuovo momento di grande favore in seguito alla divulgazione nelle scuole, ottenendo così pari dignità del kendô, la via della spada.

Parlare delle origini, dei miti e della storia del kyûdô correlandoli con la storia giapponese è solo questione di studio; per poter parlare della sua esteriorità formale e tecnica bisogna averlo praticato almeno per alcuni anni sotto la guida di un buon istruttore, ma per conoscerne la vera essenza non basta nemmeno che un Maestro ti mostri il cammino e ti guidi, devi proprio percorrere tutta la strada con le tue gambe e da un certo punto in poi solo con te stesso.

Molte parole a proposito del kyûdô, come fossero frecce, sono già state scoccate: quelle di un Maestro hanno sempre raggiunto il bersaglio, quelle di modesti istruttori sono spesso cadute nel vuoto. Pubblicando questo testo mi rendo conto di andarmi ad inserire nella seconda categoria; molto sarà sprecato, ma se anche una sola freccia raggiungerà il bersaglio non sarà stato fatto invano.