L'arco

Nella parola kyû-dô, kyû indica l'attrezzo da lancio più diffuso al mondo, l'arco, ma non è possibile parlare di kyûdô se non considerando lo yumi, l'arco asimmetrico giapponese affatto dissimile da qualunque altro dei suoi fratelli; archi di altro tipo sono stati storicamente usati sul territorio giapponese dagli Ainù e dai ninja e, con l'occidentalizzazione dello sport, anche da chi oggi pratica il tiro olimpionico. Ma avendo la sillaba finale il significato di via, la strada per migliorare se stessi, è indispensabile utilizzare uno strumento che non svolga il suo compito tecnologicamente "da solo".

Sul come e perché sia nato lo yumi, l'arco giapponese con le sue particolari caratteristiche, non vi sono notizie certe ma soltanto molte ipotesi; la più accreditata è quella che vuole la sua origine dalla necessità di lanciare una freccia particolarmente lunga sin dai tempi precedenti la storia; una freccia lunga è adatta alla pesca, avendo una massa superiore è adatta sia alla caccia che a perforare le lamine dell'armatura composita di origine cinese che in epoca antica si utilizzava nel paese del Sol Levante.

Giacché l'arco mongolo era ben lungi dall'approdare sulle coste del Giappone, per un simile dardo ci voleva un arco lungo che doveva quindi provenire da una lunga canna, da un giovane alberello o da un lungo ramo; per compensare la sua maggiore flessibilità in punta vi fu la necessità di impugnarlo sotto il centro; con il passare del tempo i piccoli uomini si sono accorti che questo attrezzo permetteva di essere usato non solo in posizione eretta ma anche in ginocchio, seduti a terra o da cavallo. Ad uno strumento che "funziona" non vi è più ragione di apportare modifiche, ma fra i motivi che hanno permesso allo yumi di rimanere tale non è da sottovalutare quello estetico: la figura umana al centro del grande arco aperto è considerata particolarmente elegante.

Nel periodo preistorico il lungo arco era monolitico, di sezione rotonda, generalmente di legno di un albero della famiglia della "catalpa"; tra il nono ed il decimo secolo la sua sezione iniziò ad assumere la forma quadrangolare, vagamente trapezoidale all'impugnatura, e contemporaneamente inizierà ad essere composito con l'applicazione di un guscio di bambù dal lato esterno.

Nel dodicesimo secolo i gusci divennero due mentre fu tra il quattordicesimo ed il quindicesimo secolo che anche l'anima iniziò ad essere a sua volta composta da diversi strati longitudinali.

Nei secoli successivi la ricerca tecnologica si limitò quindi a cercare delle strutture di laminazione, delle lacche e delle colle opportune per ridurre la progressiva perdita di potenza dell'arco dovuta all'uso, ma non fu apportata quasi nessuna modifica alla sua forma; negli ultimi 500 anni la sola innovazione che lo yumi ha "dovuto" subire è stata l'introduzione della fibra sintetica (vetro, carbonio e kevlar) ma ancor oggi gli arcieri di levatura media e superiore usano solamente archi di bambù con la corda solitamente di canapa o al massimo mista (kevlar ricoperto di fibra vegetale), eccezionalmente di seta.

Anche l'arco detto misto è composto da almeno tre strati di legno racchiusi fra quattro strati di fibra che funge anche da collante; quest'arco è un buon compromesso per l'arciere fra "feeling" e durata; un tempo, per difendere gli archi dall'umidità presente sul campo (soprattutto di battaglia) che ne causava il decadimento prematuro, questi venivano ricoperti con lacca nera e/o rossa e prendevano il nome di urushi yumi, ma oggi sono decisamente in disuso, anche per il loro prezzo elevato e la breve durata della laccatura stessa che tende a seccarsi.

A seconda del materiale impiegato per la sua costruzione, lo yumi assume forme diverse quando è scarico, ma quando viene caricato (viene cioè posta la corda) e quando viene teso assume un comportamento costante indipendentemente dalla sua tecnologia; la distanza a riposo fra il nigiri (impugugnatura) ed il nakajikake (incoccatura) può variare tra i 14 ed i 16.5 centimetri a seconda del tipo di arco.

A parità di lunghezza e di carico gli archi di diversi materiali "rispondono" in modo diverso; si possono descrivere con i seguenti aggettivi i loro comportamenti: l'arco di fibra è "povero", quello misto è nervoso, quello di bambù è morbido.

Se nell'uso militare il carico medio di un arco (forza necessaria per tenderlo) si attestava attorno ai 28 kilogrammi per la necessità di dover perforare le lamelle delle armature, oggi si va dagli 8-10 dei principianti ai 16-18 del tiratore maschio adulto esperto anche se le eccezioni non sono infrequenti.

Il carico si misura con un dinamometro solitamente alla distanza fissa di 90 centimetri tra il nigiri (impugnatura) ed il nakajikake (incoccatura); se un arciere ha un allungo diverso deve ovviamente ricalcolare il carico dell'arco da acquistare in base alle proprie caratteristiche, anche a seconda del tipo di arco.